Dimitar Peshev

il libro
l'autore
home page
 

Gabriele Nissim
Sofia, 6 novembre 1998



Onorevole presidente Sokolov
Onorevoli deputati

Un film italiano, "La vita è bella", probabilmente vincerà l'Oscar per il miglior film straniero nella notte magica di Hollywood.
In questo film un grande attore di nome Roberto Benigni in una scena tragicomica fa credere al suo bambino che quanto sta accadendo nel lagher è soltanto un grande gioco. Quando il capo delle SS pronuncia parole terribili in tedesco di fronte ai prigionieri, l'attore italiano nasconde la verità di fronte a suo figlio e gli fa credere che presto potrà ritornare a casa e riprendere la sua vita gioiosa.
In un dialogo paradossale Benigni esprime il desiderio impossibile di milioni di ebrei votati alla morte: il sogno che all'ultimo momento i carnefici tedeschi e tutti i loro complici avessero pietà delle loro vittime e si facessero guidare dalla loro coscienza di esseri. Ebbene quel sogno impossibile che Benigni racconta a suo figlio è accaduto soltanto in un paese d'Europa: la Bulgaria. L'artefice di questo miracolo è stato Dimitar Peshev, il vicepresidente del vostro glorioso parlamento.

Dimitar Peshev è stato l'unico politico di un paese alleato della Germania durante la seconda guerra mondiale, che sia riuscito a bloccare la deportazione degli ebrei di una nazione intera. Con la sua azione quasi 50mila ebrei bulgari all'ultimo minuto non partirono per Auschwitz...
Se fossero esistiti altri uomini come Peshev in Ungheria, nella Francia di Vichy, nella Slovacchia di Tiso, nel mio stesso paese, l'Italia, migliaia di ebrei potevano essere salvati, perché i tedeschi non avrebbero potuto agire così liberamente senza il consenso e la complicità dei loro alleati. È una verità che non si vuole accettare, perché è molto comodo fare dei tedeschi gli unici colpevoli.
La storia di Peshev non può essere paragonata a quella di personaggi come Oskar Schindler o a quella di tanti uomini giusti che in tutta Europa si impegnarono con il loro altruismo nel salvataggio di centinaia di ebrei destinati a morire nei campi di concentramento.

La storia di Peshev ha un altro spessore. Peshev non è stato una persona "buona" che ha agito dentro la società per cercare di opporsi al Male, ma un uomo di grande Potere che ha usato fino in fondo tutto il suo Potere per fare ciò che nessun politico dell'Asse ha mai voluto fare.
Peshev ha agito dall'interno della macchina dello sterminio. Ha operato nella stanza dei bottoni, dove la scelta personale di un politico poteva decidere della vita e della morte di migliaia di uomini. Ha agito nel luogo più importante della politica dove un sì oppure un no poteva decidere dell'esistenza di un popolo intero.

Il vicepresidente del parlamento bulgaro è stato in grado di trasformare le stesse persone che fino al giorno prima non avevano avuto il coraggio di prendere una iniziativa, e stavano diventando loro stessi complici della soluzione finale, negli artefici del salvataggio di tutti gli ebrei del suo paese. Ha trasformato politici importanti che fino a quel momento avevano voltato la testa dall'altra parte e si facevano opportunisticamente condizionare dai tedeschi in uomini con una coscienza e con un pensiero. Come nella più incredibile delle favole ha convinto lo stesso ministro degli interni che aveva organizzato scientificamente tutto il piano segreto della deportazione a telefonare a tutte le prefetture per revocarne l'ordine.
Peshev infatti, dopo avere cercato senza successo di farsi ricevere dal primo ministro Filov, con una iniziativa inaspettata era piombato assieme ad altri deputati nella stanza del ministro Gabrovski. Con la sua determinazione di far scoppiare uno scandalo pubblico non solo lo spaventò, ma riuscì perfino a farlo vergognare di fronte a quell'ordine terribile che aveva emesso.

"Mi impressionò quanto fosse confuso e agitato", scrive Peshev nelle sue memorie, "e benché mi sembrasse inverosimile che di fronte alle mie proteste circostanziate egli potesse ancora sostenere che non ci fosse in atto nulla contro gli ebrei, non vedevo solo in lui inganno e perfidia. Pensavo che avesse trovato una formula di comodo per uscire dal suo disagio. Così mi convinsi che non avrebbe più attuato il suo piano."
Così fu proprio dall'ufficio del ministro degli interni bulgaro che venne revocato - caso unico in tutta Europa - l'ordine di deportazione degli ebrei. In nessun altro luogo, durante la tragedia dell'Olocausto, le famiglie disperate davanti ai treni pronti per Auschwitz si sentirono dire che potevano tornare alle loro case, che si era trattato soltanto di uno spiacevole malinteso.

Peshev però non si accontentò delle parole del ministro degli interni. Era consapevole che la sorte degli ebrei era ancora appesa a un filo. L'ordine infatti era stato solo sospeso. Era necessario dare un grande segno politico. Per questo Peshev lanciò una grande offensiva in parlamento. Fece in quel momento un secondo miracolo. Raccolse le firme di 43 deputati del parlamento su un documento che chiedeva al re e al governo di non macchiare il paese con un crimine così efferato.

Perché fu uno straordinario miracolo? Peshev raccolse le firme non dei deputati dell'opposizione, ma ottenne il consenso di un terzo dei deputati filotedeschi che fino a quel momento si erano fatti affascinare da Hitler. Peshev era riuscito a far capire loro un concetto fondamentale che né i sostenitori di Hitler in Germania, né i sostenitori di Mussolini in Italia, né i parlamentari ungheresi del governo Horty, né i deputati romeni e slovacchi si erano immaginati, presi dal fascino di Hitler. Consegnare gli ebrei ai tedeschi avrebbe significato porre una macchia di infamia per tutti i secoli futuri sulla propria storia nazionale. Con lo sterminio degli ebrei non solo sarebbe stato annientato un popolo, ma si sarebbe distrutto il prestigio morale di una nazione. È quanto per esempio Milosevic, il grande ispiratore della pulizia etnica in Iugoslavia, per la sua stupidità non è in grado oggi di capire. Non soltanto ha fatto morire migliaia di bosniaci e di kosovari, ma farà pagare le conseguenze morali della sua politica alle generazioni future del suo paese.

Peshev in quel momento era riuscito a riaccendere la coscienza di un intero ceto politico che, preso dalla frenesia di un recupero della Tracia e della Macedonia, si stava facendo giorno dopo giorno complice della soluzione finale.
La stragrande maggioranza dei dirigenti politici bulgari non erano antisemiti, ma di fronte alle pressioni di Hitler avevano trovato mille scuse e giustificazioni per non preoccuparsi della sorte degli ebrei. Erano diventati complici del male, non per convinzione ideologica, ma per opportunismo.

Trionfava allora quella atmosfera che la filosofa Hanna Arendt definiva come la "Banalità del male". Ebbene Peshev, come nessuno seppe fare in Europa, infranse quella banalità del male. Fece vergognare chi allora era diventato complice della soluzione finale. Richiamò tutti alle proprie responsabilità. Tolse gli alibi a coloro che facevano finta di non guardare e di non sapere. Ridiede a molti il coraggio di agire e di pensare con la propria testa.
Anche il re Boris che aveva acconsentito alla deportazione degli ebrei di Tracia e di Macedonia e che aveva avallato con il suo silenzio il piano Belev-Dannecker si svegliò dal suo torpore e poco prima di morire prese tempo di fronte alle pressanti richieste di Hitler.

Peshev però pagò immediatamente le conseguenze del suo straordinario coraggio. Il 25 marzo del 1943 il primo ministro Bogdan Filov in accordo con il re Boris convocò la seduta del parlamento con l'obbiettivo di farlo fuori. Lo presentò come un uomo bugiardo e senza onore, che aveva agito per denaro e con secondi fini. Poi, impedendogli di prendere la parola e di difendersi di fronte al parlamento, fece votare una risoluzione che lo silurava dalla carica di vice-presidente della Sobranie. Ciò significava una cosa molta chiara e netta. Qualora i tedeschi avessero vinto la guerra, la sorte di Peshev sarebbe stata segnata.

La guerra però non andò come sognava Hitler. Vinsero gli alleati. La storia straordinaria del vostro vicepresidente poteva dunque fare il giro del mondo.
Il nome Peshev poteva oggi essere conosciuto sui banchi di tutte le scuole assieme a quello di una ragazza di Amsterdam di nome Anna Frank. Era stato l'unico politico di rango di un paese alleato della Germania ad avere rotto il clima di omertà attorno al destino degli ebrei. Facendo fallire il progetto della deportazione aveva dato vita in Bulgaria alla più importante resistenza nazionale contro il nazismo.
Anche se non aveva mai preso un fucile in mano contro i tedeschi, era stato Peshev il loro più grande nemico, il più pericoloso partigiano di tutta la Bulgaria. Aveva personalmente combattuto contro Hitler la battaglia decisiva; gli ebrei erano ancora vivi.
Nessun esercito al mondo, nessun capo di stato occidentale, nessun papa era stato in grado di infliggere al nazismo una sconfitta così pesante nella guerra senza quartiere contro gli ebrei. Solo in Danimarca era successo qualche cosa di simile.

Ma Peshev era un uomo che pensava con la propria testa, che non si lasciava più sedurre dallo spirito dei tempi. Così, poco prima che l'Armata Rossa entrasse in Bulgaria, Peshev denunciò in parlamento il rischio della nascita di un nuovo totalitarismo. Mentre altri deputati come Kimon Georgiev e Damian Velchev si schierarono con i comunisti, Peshev non accettò di farsi trascinare in una nuova dittatura.
Ciò gli costò molto caro. Fu processato con l'accusa di essere antisemita e antisovietico. Nel corso del processo l'accusa arrivò a insinuare che soltanto per bramosia di denaro Peshev si era mosso a favore degli ebrei.

Peshev visse così l'umiliazione più terribile che poteva accadere a un uomo che aveva ribaltato il male e che aveva salvato gli ebrei di un popolo intero.
Nel tribunale di Sofia, nel gennaio del 1945, si accorse che solo per un caso fortuito la corte popolare comunista non lo aveva condannato a morte. Era stata soltanto la straordinaria abilità del suo avvocato Joseph Nissim Jasharoff che gli aveva salvato la vita.
Fu condannato infatti soltanto a quindici anni di lavori forzati. Vide seduto sulla panca dove erano seduti coloro destinati al plotone di esecuzione il suo carissimo amico ingegnere e deputato Spas Ganev che in ogni circostanza lo aveva aiutato nella sua battaglia politica.
Ascoltò dalle parole del presidente del tribunale che dei 43 deputati che avevano firmato la lettera di protesta contro il genocidio degli ebrei venti erano stati condannati a morte, sei all'ergastolo, otto a quindici anni, quattro a cinque anni, uno a un anno.

Pensò in quel momento, come scrive sconfortato nelle sue memorie, che la sua ribellione contro il Male che doveva portare gli ebrei ad Auschwitz non avesse insegnato nulla. Un nuovo Male sorgeva nel suo paese e migliaia di persone erano trascinate nei campi di rieducazione.
Peshev fortunatamente riuscì a evitare il gulag, non per misericordia del potere ma per l'aiuto di un suo vicino di casa, un certo Boris Cokin, un comunista convinto, ma con una certa dose di pietà umana.
Ma da vivo conobbe un tipo particolare di morte: l'assassinio della memoria. Perse la casa, i suoi libri, l'amore, fu costretto per anni a vegetare dal mattino alla sera in attesa della sua fine. Nessuno degli ebrei salvati ebbe mai il coraggio di ringraziarlo pubblicamente. Mentre lui viveva in disgrazia il partito comunista si autocelebrò come l'artefice del salvataggio degli ebrei. Partì perfino la proposta di indicare per questo motivo la candidatura di Todor Zhivkov al premio Nobel per la pace.

Il comunismo aveva cancellato ogni traccia del suo gesto e di quanti lo avevano seguito. Vladimir Kurtev, il rivoluzionario macedone che aveva dato l'allarme agli
ebrei di Kustendil, era stato ammazzato e mai suo figlio ebbe qualche notizia della sua sorte. Il patriarca della chiesa ortodossa Stefan, che si era pronunciato di fronte alla folla dei fedeli per la salvezza degli ebrei, visse in domicilio coatto nella città di Banya. Il deputato Mihalev, che lo aveva seguito nella sua iniziativa fulminea nell'ufficio del ministro degli interni Gabrovski, era stato come lui condannato alla morte vivente. Il commerciante Suicmezov che aveva avuto il coraggio di venire a Sofia con la delegazione di Kustendil, aveva visto tutti i suoi beni requisiti dal comunismo.
Tutto ciò a mio avviso non è avvenuto per caso. Il nuovo totalitarismo non poteva raccontare la storia di uomini buoni che avevano avuto il coraggio di andare controcorrente e di prendere posizione contro il male. La loro vicenda poteva diventare un esempio pericoloso, un esempio sovversivo per il regime dei gulag. Poteva spingere altri uomini alla ribellione. Per questo dovevano essere cancellati.

Come rendere oggi onore alla memoria di Peshev?

Con la famiglia e le nipoti di Peshev ho discusso varie volte sul messaggio che vogliamo dare alle nuove generazioni sulla vicenda del loro zio. Non vogliamo che Peshev sia ricordato in modo archeologico, come direbbe il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov. Non vogliamo raccontare la storia soltanto per il gusto della chiarificazione su una vicenda fino ad oggi manipolata. Vogliamo che si parli di Peshev affinché possa diventare un esempio contemporaneo nella lotta e nella prevenzione di nuovi genocidi.

La memoria di Peshev ha un senso soltanto se si capisce che il valore più alto della politica rimane ancora nel nuovo millennio la prevenzione dei genocidi.

Vorrei fare una proposta al vostro parlamento: che si istituisca un premio internazionale Dimitar Peshev che premi ogni anno una persona che si batta contro un genocidio in atto.

Dimitar Peshev ne sarebbe felice.

Vi ringrazio.



torna alle iniziative
 
 << go back
 << home page
  this page in
English
  layout by KIWI, Milano
copyright © 1998-2003 Gabriele Nissim
privacy & cookie