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Un
libro sulla storia degli ebrei dell'Europa centro-orientale dal 1945 a
oggi
Dopo la seconda guerra mondiale, nell'Europa centro-orientale molti ebrei
scampati alla Shoà abbracciarono il comunismo nella speranza di
costruire un mondo nuovo, senza antisemitismo e senza differenze etniche
e religiose. Le loro scelte furono spesso motivo di incomprensioni tra
loro e le società in cui vivevano e nelle quali cercavano l'integrazione.
Per gran parte delle popolazioni, infatti, il comunismo e l'arrivo dell'Armata
Rossa rappresentarono la sconfitta nella guerra e la perdita dell'indipendenza,
mentre per gli ebrei significarono una nuova speranza di salvezza e di
integrazione nella società.
Queste diverse percezioni dei nuovi regimi comunisti originarono nuovi
stereotipi. In particolare si sviluppò il mito della cosiddetta
"giudeocomune". Il nuovo
totalitarismo veniva identificato in un presunto potere ebraico e questo
avveniva proprio nei paesi nei quali milioni di ebrei erano scomparsi
per mano di Hitler, ma anche per la pesante complicità di regimi
filonazisti e per l'indifferenza della società civile. Paradossalmente
in alcune situazioni gli ebrei furono addirittura considerati nel dopoguerra
dalla popolazione i soli beneficiari dei nuovi assetti geopolitici dell'Europa
d'oltre cortina.
Il libro Ebrei invisibili racconta
questa storia ancora oggi quasi sconosciuta degli ebrei sopravvissuti.
Gli autori Gabriele Nissim e Gabriele Eschenazi esplorano il rapporto
del tutto particolare tra gli ebrei e l'ideologia comunista, le storie
dei leader "ebrei" stalinisti, i traumi subiti da una generazione
che in più occasioni vide i suoi sogni frustrati, la politica dei
nuovi regimi sulla questione ebraica, il ruolo di Israele, la rimozione
della specificità ebraica della Shoà, la nuova condizione
ebraica nel post-comunismo.
Questo libro è uno strumento utile per capire come nella nuova
Europa nata dal collasso del comunismo la questione ebraica si presenti
oggi all'est con caratteristiche del tutto diverse
che all'ovest. La condizione esistenziale degli ebrei che per quarant'anni
sono vissuti nel totalitarismo è radicalmente diversa da quella
di chi dal dopoguerra in poi ha goduto della democrazia. |
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L'edizione
in ebraico, uscita da Zmora nel 1997
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A
ciascuna nazione è dedicato un capitolo a sé
stante, e frequenti sono i raffronti fra le diverse realtà, che
spesso hanno punti in comune, ma anche imprevedibili diversità
- come nel caso anomalo della Bulgaria. Il tutto è corredato da
ampie introduzioni storiche specifiche per ogni paese sul periodo della
guerra e prima di essa.
Il libro è scritto in stile giornalistico e, pur affrontando temi
molto complessi, è di facile lettura. L'opera tiene conto di tutta
la pubblicistica esistente sul tema e si basa su informazioni approfondite
raccolte in quattro anni di indagini condotte con la collaborazione di
studiosi e centri di ricerca, primo fra tutti il Centro
Internazionale Vidal Sassoon per lo studio dell'antisemitismo,
con sede a Gerusalemme.
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Testimonianze
dirette inedite raccolte dagli autori si alternano a dati e
notizie storiche in modo tale da dare la possibilità al lettore
di immedesimarsi e capire meglio la realtà delle comunità
ebraiche nei paesi comunisti. Fra i duecento intervistati (non tutti citati
nel libro) ci sono molti personaggi di prestigio, protagonisti della vita
ebraica e della storia politica del loro paese.
In Polonia:
il professor Jerzy Shapiro, neurochirurgo
di fama mondiale e medico nel ghetto di Varsavia; la professoressa Krystyna
Kersten, la più famosa storica polacca; Konstanty
Gebert, consigliere di Solidarnosc; gli storici Stefan
Meller e Jerzy Jedlicki; Barbara
Torunczyk, nota esponente del dissenso polacco e dirigente di Solidarnosc;
Krysztof Wolicki, giornalista ed ex-comunista;
l'intellettuale Stanislaw Krajeski e la scrittrice
Teresa Prekerowa, nota per le sue ricerche
sui polacchi che hanno aiutato gli ebrei perseguitati durante la guerra.
In Ungheria:
i filosofi Sandor Radnoti, Agnes
Heller e Ferenc Feher; Itsvan
Csurka, scrittore e politico antisemita, gli storici Andras
Gero e Gyorgy Litvan; Miklos
Vasarhelyi, ex-portavoce nel '56 di Imre Nagy e noto dissidente;
Erno Lazarovits e Gyorgi
Bolmann, attuali esponenti di spicco della comunità ebraica;
il sociologo Andras Kovacs; Georgy
Gado, deputato liberal-democratico ed esponente della comunità
ebraica; Ferenc Kosgez, deputato ed ex-dissidente.
In Bulgaria:
Victor Shem Tov, sionista bulgaro poi segretario
del partito socialista israeliano Mapam; gli storici Moshe
Mossek e Shlomo Shealtiel; Nicolaiev
Radan, studiosa e direttrice della sezione bulgara di Radio
Free Europe; Isaac Levi, esponente di
spicco degli ebrei comunisti.
In Romania:
Moshe Rosen, rabbino capo di Romania; Ovid
Crohmalniceanu, scrittore e critico letterario; Leon
Volovici, storico del Centro lo Studio dell'Antisemitismo di Gerusalemme;
il professor Yanku Fisher, decano della facoltà
di lettere classiche all'università di Bucarest; il professor Paul
Cornea, decano della facoltà di letteratura rumena all'università
di Bucarest; il filosofo marxista Henry Wald;
Silviu Brucan, ex-ambasciatore rumeno all'Onu
dal 1959 al 1962 e oppositore di Ceausescu; Tatiana
Pauker, figlia di Ana Pauker celebre dirigente comunista degli
anni '50; i giornalisti Uri Valurianu, Andrej
Cornea e Toma Roman; lo storico Michael
Shafir.
Nella Repubblica
Ceca e in Slovacchia:
Livia Rothkirchen, ricercatrice del centro
Yad Vashem di Gerusalemme; lo storico slovacco Pavol
Mestan; il filosofo Pavel Bergman;
lo scrittore Yoseph Klansky, ex-comunista;
Eduard Goldstücker, ex-presidente dell'Unione
degli scrittori e protagonista della "primavera di Praga"; Ota
Ernst, ex-direttore del teatro nazionale di Praga; Bedrich
Nossek, attuale direttore del Museo ebraico di Praga; Fedor
Gal, uomo politico slovacco; la giornalista Susanna
Satmari, leader di Charta '77 a Bratislava.
In Germania:
Peter Kirchner, medico e presidente della
comunità ebraica di Berlino est dal 1971 al 1989; Helmut
Eschwege, lo studioso di storia ebraica più importante della
Germania orientale; Andrei Brie, attuale
vicesegretario del Pds (ex-comunisti); Salomea Jenin,
attivista comunista; la cantante yiddish Jalda Ribling;
Peter Honigmann, attuale direttore dell'archivio
degli ebrei di Germania; il professor Julius Schöps,
direttore del centro Moses Mendelsohn per gli studi europeo-ebraici dell'università
di Potsdam.
Tutti gli intervistati sono stati incontrati nel corso di lunghi e ripetuti
viaggi nei loro paesi di origine e in quelli dove attualmente risiedono.
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