Dimitar Peshev  

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Lettera a Roberto Benigni


Caro Roberto Benigni,

mentro ero negli Stati Uniti alla fine di marzo per presentare il mio libro su Peshev al Museo dell'Olocausto di Washington e all'Istituto Italiano di Cultura, ho fatto due piccole scoperte che ti riguardano. Il responsabile internazionale del Museo dell'Olocausto mi ha detto che se oggi gli americani sono particolarmente sensibili al dramma dei kossovari ciò è dovuto anche all'effetto emotivo suscitato dal tuo film. La tua storia ha fatto capire di più, ha fatto pensare, ha permesso di non accettare più una nuova sopraffazione dell'uomo.
Ne ho avuto poi conferma il giorno in cui mi sono recato ad Harlem. Mi ha avvicinato una giovane maestra di scuola, stupita perché stavo facendo delle fotografie davanti a casa sua. Quando le ho detto che ero italiano, mi ha risposto subito: "You are italian as Benigni" e poi mi ha spiegato che il tuo film l'aveva commossa. Presto avrebbe portato i suoi giovani alunni a vedere "La vita è bella." Voleva che capissero che anche i bambini erano finiti nei lager. Questo episodio mi sembra la migliore risposta a chi ti ha accusato di aver minimizzato l'Olocausto.

Ti avevo parlato nella mia prima lettera dell'idea che avevo di organizzare una grande giornata a Torino al Sermig, l'Arsenale per la pace, per presentare la figura di Peshev. Ora il dramma del Kosovo ha reso ancor più d'attualità l'esempio straordinario di quest'uomo: è la dimostrazione che esiste sempre un'altra possibilità. Anche Peshev era un nazionalista convinto dei Balcani che negli anni quaranta sognava la grande Bulgaria. Aveva forse lo stesso miraggio nazionalista di Milosevic, ma di fronte ad un genocidio si era vergognato e all'ultimo minuto aveva cambiato la storia.
Purtroppo oggi non ci sono ancora dei Peshev in Serbia.
Non è accaduto che improvvisamente nel parlamento di Belgrado ci fosse qualcuno che si alzasse e dichiarasse ad alta voce, come aveva fatto il vicepresidente bulgaro, di non essere d'accordo, che spiegasse che il male fatto ai kossovari è un male fatto a se stessi, alla propria reputazione, alla propria coscienza di esseri umani; che per un ideale nazionalistico non si può diventare complici di un genocidio, perchè l'amputazione "morale" di un popolo è ben più grave dell'amputazione "territoriale ".

Il Sermig, il grande centro per i giovani di Ernesto Olivero, ha deciso di organizzare una marcia di 687 chilometri con migliaia di giovani in tutte le città d'Italia per auspicare la pace e la riconciliazione tra serbi e kossovari e per raccogliere fondi per i rifugiati albanesi.
I giovani saranno ricevuti nel loro cammino da D'Alema e dal Papa Cercheranno di lanciare un grande messaggio di speranza. E proprio con questo spirito proprio ieri Ernesto Olivero ha deciso di concludere la sua marcia della pace il 24 maggio a Torino raccontando ai giovani d'Italia la storia di Dimitar Peshev, l'altra possibilità dell'uomo.

Non vorrei chiederti l'impossibile ma il mio desiderio è quello che tu possa raccontare ai giovani di Torino la storia di Peshev, che tu possa collegarla al significato umano del tuo film.
So che hai una montagna di impegni, che ci sono moltissimi che ti cercano da tutto il mondo, ma vorrei tanto che proprio tu potessi lanciare, dopo quei 687 chilometri di marcia, un messaggio simbolico.
Mentre scrivevo il mio libro ero andato a vedere il tuo film e mi aveva subito colpito la tua intuizione sulla speranza delle vittime che ci fosse all'ultimo minuto un meccanismo di pietà tra i carnefici.
Ho indagato Peshev con il tuo stesso spirito. E la tua conversazione paradossale nel lager con il bambino è stata per me una rivelazione, un capolavoro di poesia e di umanità.
Vorrei tanto che il nostro comune sogno della pietà umana si realizzasse oggi in Kossovo ed in Serbia e tu lo potessi raccontare il 24 maggio a Torino.

Ti ringrazio.

Gabriele Nissim

 
Una scultura di Alberto De Braud [pubblicata su "Il Tirreno" del 23 aprile 1999]



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