Dimitar Peshev

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Articoli sul libro "L'uomo che fermò Hitler"


Panorama, 3 settembre 1998


RIVALUTAZIONI STORICHE / CHI ERA DIMITAR PESEV
Il bulgaro che fermò la mano di Hitler
Fu ministro di un governo reazionario. Inneggiò al Führer. Accettò l'alleanza con i nazisti e persino le leggi razziali. Ma quando nel suo paese tentarono di deportare gli ebrei, ebbe il coraggio di ribellarsi. Grazie a lui, nessuno fu mandato nei lager tedeschi. Ora un libro e uno spettacolo ne rievocano ombre e luci

di Moni Ovadia


Devo la mia nascita - non la mia vita, ma la mia nascita -, come molti altri, a un uomo che l'ha resa possibile. Quest'uomo si chiama Dimitar Pesev.

A lui, i miei genitori e mio fratello devono invece la vita. Dobbiamo tutti noi, comunque, la nostra esistenza a Pesev e al piccolo, laborioso popolo bulgaro presso il quale abbiamo avuto il privilegio di essere venuti al mondo.

La vicenda storica di Pesev, il lettore avrà modo di leggerla in questa stessa rivista. A me interessa solo proporre alcune riflessioni di carattere etico e umano sulla sua figura. Pagare un debito grande e rendere onore e merito a lui e al suo popolo.

Pesev non era il tipo del santo, era un conservatore che aveva accettato la ventata reazionaria e liberticida che si era abbattuta sull'Europa come un male necessario da tributare all'ordine e al "buon governo". Come molti politici - sembra, presso questa categoria di uomini, essere vizio persistente - aveva preso un gigantesco abbaglio, pensava che Hitler fosse l'uomo della provvidenza e l'aveva dichiarato in un discorso ufficiale: "Il Führer è il più grande statista del secolo".

La Germania nazista, peraltro, prometteva ai bulgari la restituzione della Tracia e della Bessarabia in cambio di un'alleanza strategica, e questo evento era vissuto entusiasticamente come risarcimento della coscienza nazionale ferita e umiliata.

Il "Grande dittatore" evidentemente non si accontentava di una lealtà un patto militare, lui stava svolgendo un compito epocale: l'eradicazione di alcune categorie umane perniciose o "sporche" dalla sacra terra d'Europa e fra questi, primi nelle preferenze, gli ebrei.

La Bulgaria aveva accettato, non prendendole molto sul serio, le leggi razziali, ma la deportazione era un'altra questione. Eppure anche nelle migliori famiglie quei pochi superzelanti si trovano: i vigliacchi poi, loro manutengoli, i quali in seguito dichiareranno di non aver saputo, sono sempre a portata di mano. Approfittando della deportazione degli ebrei di Tracia, ancora sotto diretto controllo tedesco, misero nel numero, con un colpo di mano, anche un contingente di ebrei bulgari.

Pesev ne fu informato da alcuni amici di Kijustendil, sua città natale. Si risvegliò di colpo dal quel sogno di uomo d'ordine e si mobilitò per impedire l'infamia. Pesev pagò con la morte civile il prezzo del suo ardire, lo pagò fino in fondo, senza avere mai a rammaricarsene. Morì emarginato, con il marchio infamante del reazionario, senza che nessuno riconoscesse il suo operato e lo risarcisse delle ingiustizie subite.

Parti importanti della società bulgara si mobilitarono insieme a lui, fra gli altri il metropolita capo della Chiesa cristiano-ortodossa che, sul sagrato della cattedrale in piazza Alexander Nevskji, pronunciò un discorso durissimo ed esplicito contro i nazisti che culminava con il monito: "Non ci provate! Giù le mani dai nostri cittadini!".

Chi era Pesev? Chi erano coloro che si mobilitarono con lui? Come il fascista Giorgio Perlasca, come l'affarista e puttaniere Oskar Schindler, come migliaia di altri i cui nomi vorremmo sapere scolpiti nei nostri cuori, erano uomini.

 
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  Un uomo degno di questo nome è un uomo che rifiuta di prosternarsi agli idoli-ideologie fino al punto di perdere se stesso e di diventare un "Untermensch", un "sotto-uomo" come milioni di europei di "superiore razza bianca" accettarono di divenire. I Pesev sanno che la vita di innocenti non si mercifica per opportunismi personali, né si sacrifica alla realpolitik. I Pesev si collocano agli antipodi di quei "decent men" che vorrebbero rivedere la Storia, usando i milioni di morti come merce di scambio per fare trionfare la logica del "chi ha dato ha dato ha dato..." o peggio.

Il suo meraviglioso e talentuoso popolo - accetterò per convenzione la logica dell'odioso stereotipo, una volta tanto per una giusta causa - non merita di essere considerato ricettacolo di oscure, brutali spie: l'aggettivo "bulgaro" deve essere bandito in quell'accezione dalla mediocre prassi del linguaggio sensazionalistico.

Le classifiche dei popoli sono uno stupidario da gioco di società, ma se proprio se ne deve far uso, si collochi il popolo bulgaro nella classifica dei giusti.


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