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Articoli sul libro "L'uomo che fermò Hitler"


l'Unità, 13 aprile 1999

L'Olocausto per vedere il male oggi

di Gabriella Mecucci


È il giorno della memoria oggi: la memoria del male più grande, la Shoah. Per ricordare verrà proiettato a Torino l'integrale di "Shoah", il bellissimo film di Claude Lanzmann, uno dei migliori contributi alla conoscenza del genocidio degli ebrei. Di nuovo si tornerà a riflettere sul ruolo della memoria. A che cosa servono, testimonianze, immagini, film, libri? Gabriele Nissim, ebreo, storico, autore di un libro importante sulla Shoah dal titolo “L'uomo che fermò Hitler”, si è misurato lungamente con l'argomento.

Perché, Nissim, è importante ricordare?
"Due sono gli obiettivi che si prefigge chi ricostruisce la memoria. Il primo e più immediato riguarda i discendenti, i parenti delle vittime: si cerca di far diventare il loro dolore un patrimonio collettivo, il più esteso possibile. Il secondo obiettivo va ben oltre: si tratta di dire un corale e totale “Mai più”. Per raggiungere lo scopo occorre - come sostiene Todorov - che la memoria della Shoah ci serva a individuare i genocidi che accadono nel presente. Altrimenti avviene che ci sentiamo a posto rispetto al passato, o perché ci schierammo allora dalla parte giusta, o perché addirittura facevamo parte delle vittime, ma lasciamo scorrere, senza muovere foglia, nuovo sangue innocente. Il passato invece deve servire per riconoscere il male di oggi. E allora come non pensare al Kosovo? La domanda vera è questa: deve esistere solo un ricordo archeologico, oppure, quel ricordo ha un valore anche per l'oggi?".

Qualche volta però succede che alcuni ebrei reagiscano non positivamente a certi discorsi, preferendo difendere l'unicità della Shoah...
"Dobbiamo fare delle distinzioni. Pensare, ad esempio, che tutti i perseguitati possano assumere una coscienza universale mi sembra chiedere troppo. Tenga conto che molti sopravvissuti dell'Olocausto hanno dovuto fare una dura battaglia, almeno in mezza Europa, perché si arrivasse al riconoscimento del genocidio. Nei paesi dell'Est solo oggi, a dieci anni dalla fine del comunismo, si discute per la prima volta della Shoah. Questo può giustificare qualche chiusura nei sopravvissuti. Ma nelle giovani generazioni non può essere così. Del resto, gli strumenti che ci ha fornito Primo Levi ci permettono di riconoscere il male anche altrove. Ritengo quindi che fare dei paragoni, senza ovviamente occultare le specificità, non toglie nulla alla immensa tragedia del genocidio degli ebrei, ma anzi fa avere alla Shoah anche il ruolo di una sorta di lente d'ingrandimento sul presente, una lente che ci permette di vedere dove sta il male dell'oggi".

Accettata questa lunga premessa, Nissim, parliamo di Kosovo...
"La prima cosa che mi viene in mente pensando alla pulizia etnica è che non c'è stato nessuno in Serbia che si sia vergognato di ciò che sta succedendo laggiù, di ciò - per essere più precisi - che il loro esercito, la loro polizia, i loro connazionali dei corpi paramilitari stanno facendo. Possibile che nessuno dica niente? Se lo ricorda il dibattito che abbiamo fatto sulla Shoah? Ci siamo chiesti: i tedeschi sapevano o non sapevano? Sono responsabili anche loro e quanto? Ebbene, davanti a questo silenzio assordante dei serbi non dobbiamo porci le stesse domande? Non dobbiamo ipotizzare una loro complicità? Io non mi aspetto, sarebbe una follia aspettarselo, che gli abitanti di Belgrado siano solidali con i bombardamenti, ma che denuncino, che provino vergogna per la pulizia etnica".

Mi scusi, cerchiamo di dare un significato preciso alle parole: la pulizia etnica è genocidio?
"La prima immagine storica che il Kosovo mi richiama è quella della deportazione degli armeni: gente strappata alle proprie case, costretta a marce forzate, persone che muoiono di stanchezza, di sete. È più difficile invece vedere delle somiglianze così precise con i Lager nazisti e con le camere a gas. Ciò che sta accadendo ai kosovari rientra comunque nella categoria del genocidio. Il nazionalismo, un certo tipo di nazionalismo, fa sì che i serbi chiudano gli occhi davanti a ciò che non vogliono vedere".

Alcuni giornalisti sostengono che non sono a conoscenza della pulizia etnica. È così?
"Ha letto il libro di Goldhagen 'I volonterosi carnefici di Hitler'? E quello straordinario di Browning su 'Il battaglione 101'? Questi due studi ci dimostrano che esistono persone normali, gente comune che fa parte dell'esercito, delle SS, della polizia o, appunto, del battaglione 101 che arresta, tortura, uccide ebrei. Sono dei tedeschi come tanti altri. Ebbene, devono esserci anche in Kosovo serbi normali, di quelli che incontri per strada, che fanno parte di qualche battaglione che arriva nei villaggi, terrorizza, uccide, deporta. Questi lo sanno che cosa stanno facendo. Lo vedono. Perché non dicono nulla? Sono, dunque, responsabili come lo erano i loro colleghi tedeschi. Ci sono stati, ed erano tanti, i complici di Hitler e oggi ci sono, e sono tanti, i complici di Milosevic. Quando succedono tragedie di questa portata non c'è da una parte un dittatore da solo, su cui ricade ogni colpa e, dall'altra, un popolo tutto innocente. Non è cosi".

 
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  Lei ha scritto un libro in cui racconta la storia di Peshev, un importante politico bulgaro, peraltro nazionalista, che fermò Hitler e che salvò migliaia di ebrei del suo paese.
"Milosevic, in nome della grande Serbia massacra un popolo, ora lo sta facendo con i kosovari, prima l'ha fatto con i bosniaci. Peshev, che pure voleva costruire la grande Bulgaria, di fronte al male, capì che per difendere la nazione bulgara doveva, prima di tutto, non far cadere su di essa la colpa di aver preso parte all'eccidio degli ebrei. Milosevic vuol rendere grande il suo popolo dandogli più terre e più potere, anche Peshev desiderava questo ma al primo posto mise la dignità del suo popolo. Per questo non permise ai tedeschi di deportare 48mila ebrei bulgari. È questa la differenza fra i due".

Torniamo per un attimo alle responsabilità del popolo serbo. Mi domando e le domando: forse sanno e si vergognano, ma non possono dirlo? Ieri è stato ucciso un giornalista.
"Questo giornalista deve essere ricordato, guai a far cadere il suo nome nel dimenticatoio. Però per uno che ha parlato sono troppi quelli che sanno e tacciono. Lei pensa davvero che se qualcuno volesse comunicare con l'Occidente non potrebbe farlo? Prenda Internet: se in rete ci fossero alcuni messaggi provenienti da Belgrado, le nostre televisioni li avrebbero amplificati. Nazionalismo, obbedienza al potere, conformismo fanno dei serbi i complici di Milosevic. Come i tedeschi lo furono di Hitler".


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