Dimitar Peshev

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Articoli sul libro "L'uomo che fermò Hitler"


Shalom, agosto 1998


La singolare vicenda del ministro bulgaro
Quando Peshev fermò Hitler

di Amos Vitale


Non era un eroe della resistenza, e nemmeno un "rambo" con il mitra in mano e l'esplosivo nello zaino "L'uomo che fermò Hitler" raccontato dal giornalista Gabriele Nissim nel suo ultimo libro. Era un uomo di potere.

Anzi peggio, un personaggio di regime, un politico ambiguo che aprì le porte del proprio paese, la Bulgaria, al protettorato nazista e riuscì a presiedere imperturbabile il parlamento di Sofia al momento dell'approvazione delle leggi antiebraiche.

Non era un cuor di leone, Dimitar Peshev, quando sotto il suo cilindro nero andava al seguito del Re e dell'aristocrazia governativa di un paese ancora arretrato e risentito per aver perso tanta parte del proprio territorio nelle guerre balcaniche del 1912-13. Forse proprio tale frustrazione politica e il desiderio irredentista di recuperare la dimensione della grande Bulgaria di un tempo aveva portato questo esponente dell'aristocrazia locale ad accettare come un'ineluttabile necessità l'abbraccio mortale con il fascismo e la scomoda presenza nazista in casa.

La persecuzione nei confronti degli ebrei, che della ristretta aristocrazia intellettuale bulgara costituivano una delle componenti determinanti, non gli era sembrata poi così allarmante e Peshev si era convinto che la tempesta sarebbe presto passata senza fare troppo danno.

La storia di un oscuro uomo di governo che sembrava destinata ad essere sepolta dall'oblio. Le sue ambiguità, la sua tardiva dissociazione dalle violenze naziste, la sua battaglia perduta per una Bulgaria libera dall'occupazione stalinista, il processo nel dopoguerra che lo aveva visto sul banco degli imputati sia per le sue attività antisemite che per quelle antisovietiche e l'esito che solo per miracolo gli evitò la condanna a morte o una lunga pena detentiva nel Gulag russo.

Poi di Peshev più nulla. È toccato a Nissim, giornalista e scrittore esperto della politica e della cultura est europea, collaboratore di Canale 5 e della Televisione della Svizzera Italiana, di Panorama, del Corriere della Sera, de Giornale e del Mondo, scoprire di Peshev un'immagine diversa. "Tre anni fa - racconta Nissim oggi - ero a Gerusalemme nella biblioteca dell'istituto Yad Vashem e stavo finendo di raccogliere la documentazione necessaria al mio libro 'Ebrei invisibili' (scritto con Gabriele Eschenazi, pubblicato da Mondadori nel 1995 e in Israele due anni dopo), che è dedicato alla storia degli ebrei dell'Europa centrale e orientale dal 1945 ad oggi, quando mi è venuto incontro un uomo, un ebreo di origine bulgara, che mi ha raccontato di essere vivo solo grazie a un personaggio chiamato Dimitar Peshev. La Bulgaria è stato l'unico paese dell'Est Europa dove gli ebrei sono stati salvati.

Qualcosa di simile è avvenuto solo in Danimarca. Ma mi sono presto reso conto che una grande quantità di menzogne sono state raccontate sulla dinamica di questo salvataggio. Incuriosito da quello strano incontro ho cominciato a cercare notizie su questo misterioso personaggio, ministro della Giustizia nel 1936 e vicepresidente del Parlamento bulgaro dal 1939 al 1943. A Ovest si ignorava tutto di lui". I risultati sorprendenti della ricerca appassionata di Nissim si possono facilmente intravedere dal titolo del libro: "L'uomo che fermò Hitler".

Peshev non fu solo un ossequiente esecutore di ordini nazisti e nemmeno un reazionario appiattito sulla politica nazionalista delle dittature dell'Est Europa, che hanno poi finito per lasciare spazio all'autoritarismo sovietico.

I cinquantamila ebrei bulgari, quasi totalmente strappati alle grinfie dei persecutori e dopo la guerra emigrati in massa in Israele, non si salvarono in realtà grazie alla pressione degli uomini della Resistenza comunista che poi presero il potere in Bulgaria, come la propaganda di regime per decenni ha lasciato credere.

La ricerca di Nissim negli archivi di stato di Sofia e fra i discendenti dell'ex uomo di governo consente infatti di riscrivere la storia di una comunità importante nell'ambito dell'ebraismo europeo e ancora più significativa in quello delle forze che hanno contribuito alla costruzione di Israele. Nissim accompagna il lettore alla scoperta di una personalità complessa e non priva di ambiguità, ma molto diversa da quella che le autorità staliniste avevano voluto dipingere. Una sorta di riabilitazione postuma di un uomo morto all'inizio degli anni '70 senza ottenere giustizia nel suo paese, nonostante molti ebrei continuassero a manifestargli gratitudine.

 
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  Dalla vicenda Peshev, Nissim è riuscito a riportare alla luce le tracce di uno slancio di coraggio e di dignità proprio alla vigilia di quel 7 marzo del 1943 quando nell'ambito di una operazione segreta di cui era stato tenuto all'oscuro anche il Parlamento, gli ebrei bulgari avrebbero dovuto essere deportati in massa. Fu allora che il funzionario ossequiente, tutto immerso nella cornice della banalità del male descritta in occasione del processo Eichmann dalla filosofa ungherese Hannah Arendt, si scrollò di dosso la propria passività, intervenne con tutto il suo peso affrontando con decisione i ministri e il Re, sensibilizzò la popolazione e, raccogliendo l'adesione di quaranta colleghi parlamentari, riuscì infine a bloccare i treni che erano già pronti per essere diretti ad Auschwitz.

Si deve, secondo Nissim, al suo slancio coraggioso e finora misconosciuto, se decine di migliaia di ebrei poterono salvarsi. Lo stesso slancio che non gli fu perdonato né dalle autorità fasciste né da quelle staliniste. Con il libro di Nissim non torna così solo alla luce la controversa personalità di un protagonista, ma si rende anche parziale giustizia al suo desiderio di essere giudicato secondo verità.


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