Dimitar Peshev

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Articoli sul libro "L'uomo che fermò Hitler"


la Stampa, 9 settembre 1998


Salvò 48 mila deportati, ma fu perseguitato: in un saggio l'impresa di Dimitar Pesev
Uno Schindler bulgaro fermò i treni per Auschwitz

di Mirella Serri


Una data da non dimenticare: marzo 1943. Grazie all'intervento del vicepresidente del Parlamento bulgaro, Dimitar Pesev, 48 mila ebrei furono salvati dalla camera a gas. A ricostruire la straordinaria vicenda di Pesev che riuscì a sottrarre allo sterminio tutti gli ebrei della sua nazione è il bel libro del giornalista ed esperto di Europa Orientale Gabriele Nissim L'uomo che fermò Hitler (uscirà a giorni da Mondadori) che utilizza materiali inediti emersi dagli archivi israeliani, bulgari e statunitensi.

 
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  Di fronte alle notizie dell'escalation antisemita del Reich, il patriota e liberale Pesev si ribellò, mobilitando molti politici e sfruttando tutti i cavilli giuridici contro gli ordini di arresto. Il re Boris non ebbe il coraggio di resistere all'appello di Pesev firmato da oltre 40 deputati. E così accadde l'impensabile: il 9 marzo 1943 alle 8 di sera venne bloccato il trasferimento dei prigionieri ad Auschwitz. Ma questa battaglia fu fatale per Pesev. Preso di mira dai nazisti perse il suo incarico governativo e stava per essere consegnato nelle mani dei tedeschi. Quando l'Armata rossa entrò a Sofia, Pesev, che avrebbe potuto essere acclamato come un eroe nazionale, venne arrestato. Visceralmente anticomunista il politico era inviso al nuovo governo. I comunisti si presero il merito di aver impedito il massacro degli ebrei in quei fatidici giorni del '43. Processato come "imperialista", filofascista e persino come persecutore degli ebrei (aveva firmato con tutto il Parlamento le leggi razziali) Pesev venne condannato ai lavori forzati.

Scarcerato dopo qualche tempo, trascorse il resto della vita solo, poverissimo e senza riconoscimenti. Scomparve il 21 febbraio 1973: qualche giorno prima aveva bussato alla sua porta un anziano signore proveniente da Tel Aviv. Era uno dei 48 mila che voleva conoscere e abbracciare chi gli aveva salvato la vita.


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