Dimitar Peshev

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Articoli sul libro "L'uomo che fermò Hitler"


Il Tirreno, 24 settembre 1998


Pecev, l'uomo che impedì l'Olocausto in Bulgaria
L'amico degli ebrei

di Giovanni Neri


GABRIELE Nissim è lo storico che ha scoperto l'incredibile vicenda di Dimitar Pecev. In questa intervista spiega come ci è riuscito e le difficoltà che ha dovuto superare.

Quello che lei racconta nel suo libro "L'uomo che fermò Hitler" è un episodio quasi sconosciuto della seconda guerra mondiale della quale al contrario si è scritto tutto. Come è nato questo libro e perché ha voluto affrontare proprio un fatto apparentemente così marginale rispetto alla storia classica del conflitto?

"Mi sono sempre occupato dei problemi del comunisrno, del dissenso nell'Est europeo e della questione ebraica e mentre finivo di scrivere "Ebrei invisibili", un libro che trattava appunto dei rapporti tra ebrei e comunismo, durante un colloquio al museo dell'Olocausto di Gerusalemme un signore, Ayad Washem, mi spiegò che se gli ebrei erano sopravvissuti in Bulgaria non era stato grazie al partito cornunista come si era sempre creduto, ma per l'azione di un tale Dimitar Pecev. lo non sapevo chi fosse Pecev e incuriosito, ho incominciato a indagare. Dal nome di questo personaggio completamente dimenticato bisognava però ricostruire una storia e ad un mio amico che andava in Bulgaria per motivi di lavoro chiesi di vedere se laggiù c'era ancora qualche parente vivo, qualche traccia.
Sono stato fortunato: proprio sull'elenco del telefono il mio amico riuscì a ritrovare le nipoti. E parlando con loro venne a scoprire.che tenevano ancora nascoste in casa le memorie che lo zio aveva scritto cinquanta anni prima. Ce n'era abbastanza per precipitarmi a Sofia e cominciare a parlare con queste donne. In quel momento al governo però c'erano ancora i neocomunisti e non era facile muoversi. È vero che l'89 era passato, ma in Bulgaria governavano più o meno gli stessi uornini del regime precedente e parlare con gli stranieri, soprattutto del passato, non era visto di buon occhio.
Presi in ogni caso le memorie che erano scritte su dei quaderni e cominciai a tradurle e analizzarle con uno storico. Poi iniziai la ricerca negli archivi del ministero degli Interni, perché una delle principali fonti sono stati proprio i processi che il regime comunista nel '44 fece a tutti i deputati del vecchio parlamento. A quel punto riuscii a capire di aver di fronte un caso quasi unico, mai raccontato."

E che sarebbe stato impossibile raccontare se le ricerche fossero iniziate qualche anno prima o qualche anno dopo.
"Esatto. Prima ho cominciato a cercare negli archivi del Parlamento tutti gli interventi di Pecev e contemporaneamente ho comniciato a vedere se oltre alle nipoti erano ancora in vita persone che lo avevano conosciuto. E qui ho dovuto indagare nei tre Paesi dove sono finiti nel dopoguerra molti ebrei bulgari: la stessa Bulgaria, gli Stati Uniti e Israele. È stata una caccia ad un fantasma, perché questa persona era stata completamente cancellata dalla storia, ed è stata una lotta contro il tempo perché se il regime comunista fosse continuato ancora, se ancora nel Duemila ci fosse stato il comunismo, tutto sarebbe stato rimosso con morte degli ultimi testimoni. Molte delle persone con le quali ho parlato avevano più di 85 anni, molte altre erano scomparse da poco. Meno male che la Bulgaria è un paese di longevi..."

Un'indagine e una ricerca storica piene di difficoltà insomma, se è vero come lei dice che a dieci anni di distanza dal crollo del comunismo continuavano a pesare le vecchie nomenklature.
"Le difficoltà per accedere agli archivi del ministero degli Interni sono state moltissime, e devo ringraziare alcuni storici bulgari che mi hanno dato una mano, altrimenti non ce l'avrei davvero fatta. Il governo poi non aveva ancora compiuto nessuna riabilitazione dei vecchi deputati e le stesse nipoti di Pecev erano terrorizzate.
Per anni, anche dopo il 1989, in Bulgaria, la gente che qui ha vissuto uno dei peggiori totalitarismi comunisti del mondo, ha continuato ad avere paura. Bisogna pensare che visto da Sofia e da un Paese dove nessuno ha viaggiato per 50 anni e dove 180mila persone, su 10 milioni di abitanti, sono finite nei campi di lavoro, il mondo è un po' diverso che visto da Roma o da Londra."

Dal suo libro traspare una grande malinconia, una grande tristezza. Come triste e disperata è appunto la storia di una persona che è riuscita a fare tanto e che invece è è stata punita.
"Io credo che Pecev sia stato una persona che, come successe a tanti in tutta Europa, aveva inizialmente creduto nei regimi totalitari anticomunisti. Poi però si rese conto dell'errore e la scelta di difendere gli ebrei e di irnpedirne la deportazione non fu casuale, anche se lo mise in contrasto con il mondo al quale apparteneva; con quella borghesia e con la monarchia che amava e con l'alta borghesia della quale faceva parte e che per questo suo atteggiamento lo respinse ai margini della società. Per lui, che era un militante democratico, le cose però peggiorarono con l'arrivo dell'Armata Rossa e questo uomo così incredibile si ritrovò prima in prigione e poi civilmente morto.
E fu un miracolo che morto non lo sia stato anche fisicarnente, perché - e anche questa è una parte di storia che nessuno conosce - non c'è forse paese europeo in cui, con l'arrivo dell'Arrnata Rossa, siano stati comrnessi cosi tanti crimini come in Bulgaria: tre quarti dei parlamentari furono uccisi e nei processi sornmari furono massacrate 20-30mila persone. Pecev vide tutto ciò. E la sua tristezza, la sua malinconia, nacquero proprio dal fatto di precipitare in un baratro ancora peggiore di quello contro il quale si era ribellato salvando gli ebrei. Se Pecev avesse detto qualche cosa, se avesse rivendicato il suo ruolo, sarebbe stato un disastro anche per i suoi parenti. Per questo decise di scegliere il silenzio."

Ma gli ebrei avrebbero potuto aiutarlo, dire che era stato lui a salvarli.
"Questa è una delle cose che mi hanno molto colpito e su cui ho cercato di indagare senza però trovare una risposta definitiva. Pecev non ebbe mai la solidarietà degli ebrei bulgari che erano rimasti a Sofia. Come ho scritto nel libro, la rnaggioranza degli ebrei lasciarono la Bulgaria prima degli anni '50 e anche quelli che erano rimasti, i più vicini al partito comunista, erano sopravvissuti grazie a lui. Quasi nessuno però spese una parola per lui.
Qualche persona lo andava raramente a trovare, ma non ci fu mai nessun gesto pubblico e anche di questo Pesev non ebbe mai rancore. Probabilmente considerò che quello che stava succedendo era frutto di questo regime totalitario che aveva rovinato le coscienze di tutti, cornpreso quelle dei sopravvissuti. E che ormai era irnpossibile ribellarsi.
Molte volte ho chiesto alle nipoti di Pecev, che hanno vissuto per trent'anni con lui, qualcosa su questa ingratitudine. 'Lui - mi hanno sempre detto - non aveva mai avuto reazioni'. Rimase sempre estremamente equilibrato ed è molto interessante ricordare un episodio che chiarisce il suo carattere. Un suo amico che viveva a Tel Aviv gli disse ad un certo punto che avrebbe cercato di fargli avere un visto per lsraele. Pesev rispose che non voleva lasciare la sua Bulgaria fino a quando non fosse stato riabilitato. E sapeva che questo sarebbe state impossibile, come sarebbe stato impossibile comunque che i comunisti gli consentissero di lasciare il Paese.
Quello che mi ha affascinato è che non c'è solo un Pecev "storico", - forse unico dirigente di un governo filotedesco che difende eli ebrei - ma anche un Pecev "etico", padrone di una grande dignità morale che lo ha accompagnato per tutta la vita."

E ora che cosa succederà?
"Si è aperto un processo di riabilitazione. I bulgari hanno scoperto Pecev grazie al mio libro."

 
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  Non è paradossale?
"Questa domanda mi è stata fatta anche a Sofia: come è possibile che lei che vive in Italia abbia scoperto Pecev? Sui giornali, proprio in questi giorni, è uscita tutta una serie di articoli sul caso Pecev. lo avevo già fatto delle conferenze ma il caso è esploso adesso. Il 16 ottobre una delegazione del Parlamento bulgaro sarà ospite del parlamento italiano.
A Roma verranno anche le nipoti di Pecev e Violante darà loro un'onorificenza. Il libro insomma si sta trasformando in una battaglia morale per mettere Pecev accanto a Schindler o a Perlasca, riconoscendo l'importanza di quello che ha fatto. Però si apre anche un altro capitolo che è quello che chi lo ha dimenticato in Israele dovrà rompere questo clima di omertà e d'ingratitudine. Perché Pecev non è stato dimenticato solo dagli ebrei bulgari, ma anche da quelli che erano fuggiti all'estero dopo essersi salvati grazie a lui."

E che una volta al sicuro in Israele, magari loro, avrebbero potuto intervenire per cercare di ristabilire la verità, anche se molti probabilmente non hanno mai saputo chi ringraziare per non essere stati chiusi nei vagoni piombati...
"È vero, quasi nessuno poteva saperlo perché è calato il siIenzio, ma questo non vuol dire che ora non si apra questo caso morale, quello di una comunità che è stata salvata ma che non si è accorta del proprio salvatore."


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